Intervista a Dario per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

Ritagli di vocazione

Intervista a Dario per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

A ventitré anni, mentre mi fermo a pensare al mio cammino vocazionale, non posso che pensare alla grande fortuna che ho avuto di nascere e crescere in una normalissima famiglia che certo non avrebbe mai occupato le pagine delle riviste patinate, ma che si è sempre presa cura di me, cercando di offrirmi tutte le possibilità per crescere: dalla scuola allo sport, dalla musica all'affidarmi al cammino della Parrocchia per l'iniziazione cristiana. Coloro che hanno il merito di tutto ciò sono mamma Fiorella, papà Alfredo e mia sorella Federica. 

Perché farsi prete oggi?
Questa domanda è veramente insidiosa, perché immediatamente si penserebbe a quali attività della vita del prete, o del seminarista, si potrebbero proporre come belle e interessanti e come possibili motivazioni di un cammino vocazionale, ma ritengo non sia questo il modo giusto per trovare delle motivazioni plausibili. Credo che il motivo più profondo che possa far iniziare un cammino vocazionale sia l'esperienza profonda e personale di Fede che via via coinvolge tutta la persona e che ci fa percepire la Fede non più come un qualcosa che ci è stato trasmesso dai nostri genitori, come il gruppo sanguigno, ma come un modo personale di costruire la vita. Oltre a questo penso che la vita del prete sia una modalità di vita, certo esigente e controcorrente, ma che permette di dare risposta a quelle grandi domande che abitano il cuore di ciascuno di noi e che può rappresentare il tentativo di costruire la propria vita "fidandosi" del Signore e annunciando che di quello stesso Signore ci si può fidare, perché Lui è sempre fedele.


Come e quando hai avvertito la vocazione al sacerdozio? 
La storia della mia vocazione inizia negli anni del Liceo, al terzo anno, quando riscoprendo la Fede come una mia decisione, sono risuscito a fare esperienza in modo del tutto diverso da prima di Dio e del suo Amore. Questa riscoperta è stata talmente ampia e trasversale che non potevo limitarla ad una maggiore consapevolezza personale nella vita di Fede e ad un'iniziale riscoperta del valore della preghiera. Percepivo infatti chiaramente come questa riscoperta non potesse rimanere solo mia e come quell'incontro, che avevo avuto con il Signore Gesù, dovesse diventare l'inizio di un impegno anche per gli altri. Va aggiunto che fin da piccolo ho avuto sempre stima del mio Parroco e che la figura del prete mi aveva sempre affascinato. Dopo questa iniziale esperienza ho vissuto un cammino di discernimento con il mio Parroco e con il Seminario Interdiocesano di Fossano, che mi ha portato poi ad entrare in Seminario nel settembre successivo all'esame di maturità.


Racconta un fatto bello del tuo cammino vocazionale.
Trovo che sia veramente difficile individuare un fatto singolo che abbia segnato il mio cammino vocazionale fino ad oggi: più che fatti belli ci sono esperienze, a volte anche prolungate, che hanno segnato positivamente il mio cammino. La vita con i miei compagni di Seminario, l'esperienza dello studio della Teologia, la crescita nella Fede e nella preghiera, come anche l'entrare in alcune realtà parrocchiali, sono state tutte esperienze che hanno segnato in modo decisamente positivo il mio cammino. 
Se devo però trovare una singola esperienza molto positiva, questa è al Cottolengo di Torino, dove ho svolto un periodo di servizio durante l'estate di seconda Teologia. Nel mio servizio presso la Piccola Casa sono stato assegnato al reparto di lunga degenza dell'ospedale, un contesto non certo semplice e accogliente. Tra i vari malati del reparto ho incontrato una suora del Cottolengo che, oltre ad avere un infezione alle ginocchia, pativa di una grave demenza senile che facevano sì che dovessi ripeterle il mio nome ogni cinque minuti perché se lo dimenticava sempre. Questa povera Suora aveva un nome che era tutto un programma: Suor Felicita. Suor Felicita, a causa della demenza di cui soffriva, non riusciva mai a ricordarsi ciò che aveva mangiato a pranzo, ma amava ricordare e raccontare di quando da giovane suora era stata mandata ad occuparsi dei bambini di un asilo fuori Milano. Un giorno, mentre con la Suora infermiera del reparto l'avevamo spostata sulla carrozzina per rifarle il letto, Suor Felicita ebbe un momento di lucidità e iniziò a parlare con chiarezza del suo stato di salute con la sua infermiera e di come in quello stato non potesse far più del bene a nessuno e come tutto ciò la facesse sentire in colpa. Ad un certo punto la Suora infermiera, in modo del tutto inaspettato, le chiese di fronte a me se fosse stata contenta della sua vita e lei in quel momento tutta lucida e seria le rispose che la sua vocazione e la sua consacrazione religiosa erano state le cose più belle della sua vita perché le avevano permesso di vivere la sua Fede nella carità verso i fratelli che aveva incontrato. Quando cinque minuti dopo tornai nella camera di Suor Felicita per portare i lenzuoli con cui cambiare quelli sporchi, il momento di lucidità era già finito e non mi riconosceva più. 
Quelle poche parole dette quel giorno sono state per me importantissime. Quel giorno avevo trovato non un maestro, ma un testimone autentico che aveva vissuto la propria vocazione con profondità e sincerità e in questi quattro anni ho avuto la fortuna di incontrarne diversi di questi testimoni. L'incontro con ciascuno di loro non mi ha mai lasciato indifferente, ma è sempre stato motivo di incoraggiamento e di desiderio di crescita, perché più delle loro parole è stata la loro vita a suggerirmi che una vita spesa per Cristo e i fratelli nella Chiesa val proprio la pena di essere vissuta.


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